Mi chiamo Luisa Bocchietto sono architetto e designer.

Il mio lavoro di architetto, il mio percorso professionale fin dagli studi, è stato condizionato dal fatto di essermi laureata al Politecnico con Marco Zanuso come relatore, un grande progettista riconosciuto come uno dei maestri tra i designer italiani.

Il mio lavoro di designer, invece, è stato condizionato dal fatto di essere un architetto.

Mi sento, in sostanza, un progettista che affronta progetti a scale diverse, con la stessa metodologia e con un approccio etico che credo derivi dall’aver studiato la storia dell’architettura e le sue utopie.

Mi sento un Architetto e non ho bisogno che mi chiamino “architetta”, al femminile, come pare sia politicamente più corretto attualmente; ho conquistato questo ruolo con fatica sul campo e mi piace che continuino a chiamarmi così.

Certo all’inizio, in cantiere, parecchi anni fa, era defatigante sentire gli operatori rivolgersi ai vari consulenti appellandoli ognuno con il proprio titolo: ingegnere, geometra, avvocato… e poi sentirmi chiamare invece “signora”.
Ancora oggi succede qualche volta, quando mi interfaccio con i dipendenti di una nuova Impresa e allora, ridendo, rispondo che mi chiamino “architetto”, oppure piuttosto per nome “Luisa”, ma mai “signora” e così ridono anche loro e ne usciamo indenni! 
Per qualcuno risulta ancora difficile riconoscere un ruolo decisionale a una donna.

Come donna, in effetti, non è stato semplice coniugare lavoro, famiglia e vita personale; è stato possibile grazie a una buona salute, all’aiuto della famiglia e a costo di qualche sacrificio. Ciò che pesava di più era, comunque, la pressione sociale di fondo; una sorta di velata critica a voler inseguire le proprie ambizioni di affermazione lavorativa, che avrebbe inevitabilmente contrastato con il ruolo di madre e con la capacità di svolgerlo, un elemento deterrente molto forte che gli uomini non conoscono.

Oggi per le professioniste alcune cose sono cambiate, in cantiere e in famiglia, ma resta ancora molta strada da percorrere per arrivare ad una parità reale.
La cura, della casa, dei figli, dei genitori, ricade ancora sulle donne e lo si è visto durante la pandemia, periodo in cui l’abbandono del lavoro è stata una scelta obbligata per molte.

Per impegno verso l’universo femminile, dopo aver sperimentato in prima persona le difficoltà di essere una progettista, nel 2008 ho realizzato a Torino, con Anty Pansera, una Mostra sulle donne e il design; si chiamava “DcomeDesign” e la parola donna non era presente nel titolo, era solo suggerita dalla D maiuscola che introduceva il tema Design.
L’approccio non era tanto quello di una rivendicazione di matrice femminista quanto il desiderio di valorizzare tante figure di protagoniste del settore che restavano meno conosciute per il pubblico in generale.
Furono raccolte le biografie di 300 donne operanti nel design in Italia, raccontate le loro sfide, esposto il loro lavoro. Da allora il numero è cresciuto in modo esponenziale.
La mostra nasceva dalla volontà iniziale, da parte mia, di fare un omaggio ad Anna Castelli Ferrieri che era stata architetto, designer e la prima ed unica donna a presiedere l’ADI, l’Associazione per il Disegno Industriale. Quando lei era venuta a mancare non aveva ricevuto, a mio parere, l’omaggio dovuto che avevo visto tributare ai suoi colleghi in analoga circostanza.  

Strada facendo l’obiettivo della Mostra si ampliò a coinvolgere una visione d’insieme e ciò che mi interessò durante il corso della ricerca era capire se vi fosse un design declinato al femminile, contraddistinto da caratteristiche proprie, rispetto al design maschile.
La risposta che mi sono data a conclusione del lavoro è che esiste solo il buon design e che dipende dalle capacità dell’individuo di leggere e interpretare la realtà che ci circonda.
Dato alle stampe il catalogo a fine febbraio, prima che si inaugurasse la Mostra prevista per l’8 di marzo, fui eletta Presidente di ADI, una sorta di passaggio invisibile del testimone.

Quest’altra esperienza, durata due mandati triennali, mi ha portata poi a raggiungere la presidenza dell’organizzazione mondiale del design, la World Design Organization, e mi ha offerto l’opportunità di riflettere a lungo sul rapporto tra il ruolo femminile e qualsiasi ruolo pubblico rappresentativo.
C’è una sorta di blocco emotivo che si frappone tra l’essere donna e il volere assumere un ruolo di piccolo o grande potere. É come se, nel profondo, questo volesse intaccare l’aura riservata al mondo maschile, smontandone gli apparati; per molte, il passo risulta inconcepibile perché in dissonanza con la propria femminilità. Bisogna superare un tabù che è quello che ci vuole accondiscendenti, amorevoli, pazienti e pronte al sacrificio a favore di qualcun altro, che non siamo noi. Volere qualcosa per noi, come persone, a livello mentale, è già una sfida. Decidere di volere un potere è una sorta di dichiarazione di lesa maestà; bisogna essere consapevoli di saperne affrontare le conseguenze.  

 

Luisa Bocchietto Luisa Bocchietto


L’approccio femminile al potere, quando lo si raggiunge, è diverso e ne ho osservati i meccanismi. Deriva da un percorso in genere più difficoltoso ed è quindi più disponibile all’ascolto, meno autoritario, ma forse più intransigente. In una logica di lotta competitiva di gruppo gli uomini sono animali più gregari, abituati a valutare le forze in campo e ad agire di conseguenza; le donne hanno, per ora, meno esperienza e lavorano per chi verrà dopo.Forse, data la situazione generale, questa ingenuità (o saggezza) è un grande pregio.

Mi sto domandando perché io parli di queste cose, invece di parlare dei miei lavori, cosa che risulterebbe più proficua in termini di autopromozione. Forse perché penso che la bellezza del lavoro di progettista sia molto connessa con il valore etico di quello che si fa; occupandosi di creare oggetti, come prodotti o architetture, ci si domanda se siano giusti, necessari, se migliorino l’ambiente e la vita delle persone.
Inevitabilmente ci si scontra con delle regole e si desidera modificarle e così, fatalmente, il progetto da programma solo tecnico diventa sociale, politico.

Attualmente la rivoluzione digitale sta scompaginando i ruoli, i processi produttivi, i lavori, le professioni. É importante chiedersi quali siano i confini, le responsabilità.
La famosa frase slogan di Ernesto Nathan Rogers degli anni ’50 del secolo scorso, che proponeva il design come disciplina valida “dal cucchiaio alla città” e che risultava allora, per molti, incomprensibile nel momento in cui si pensava che ai designer spettassero i progetti degli oggetti, agli architetti degli edifici, agli urbanisti della città, è diventata oggi una realtà: il progetto si spalma infatti su una materia complessa e interconnessa che necessita di relazioni e soluzioni che vanno al di là delle singole competenze.  

L’essenza del design è lavorare sulle connessioni trasversali per creare innovazione. Il fascino di questo mestiere è che si acquisiscono esperienze a cavallo tra il mondo tecnico e quello umanistico e la capacità deve essere quella di interpretare, in ogni situazione, la migliore composizione in grado di rispondere alle attese.

Per fare un buon progetto bisogna essere persone curiose, impertinenti a volte, con qualche ideale improbabile. Essere una donna non aiuta ma rende il tutto interessante.

I due progetti che intendo proporre all’attenzione sono: 

1) Il recupero del Palazzo Gromo Losa al Piazzo a Biella – (Architettura) 

Si tratta del progetto di recupero di un palazzo storico, di grande dimensione con parco, che si è sviluppato nell’arco di diversi anni; palazzo che era una scuola affidata a delle religiose e che ora ospita diverse funzioni di ricettività pubblica (centro congressi, consultorio, scuola di musica, casa di accoglienza).
Il restauro e risanamento conservativo, sottoposto al parere della Soprintendenza, ha compreso la rimozione di superfetazioni realizzate negli anni per restituire le qualità dell’impianto originale, ha compreso la trasformazione di ambienti come palestre a sale di conferenze, di tetti a terrazze e di cantine a sale museali e l’utilizzo di materiali e soluzioni innovative per caratterizzare le nuove funzioni.
Il progetto è stato seguito nella parte architettonica, strutturale, impiantistica, fino all’arredo su disegno. Sono state seguite le fasi della progettazione, delle pratiche edilizie, del coordinamento delle imprese e degli altri progettisti, della direzione lavori, dei capitolati e stati d’avanzamento lavori.
Committente la Fondazione Cassa di Risparmio di Biella. 

2) Il progetto ILUMINA – ARNIONI IN PIAZZA a Volterra – (Design) 

Si tratta di un progetto di design strategico per la valorizzazione del territorio.
Il progetto è partito dalla richiesta di realizzare un’opera temporanea urbana prevista per il periodo natalizio in Piazza dei Priori a Volterra.
L’incarico si è  trasformato in un progetto di approfondimento della lavorazione tradizionale locale dell’Alabastro che ha portato alla creazione di un’installazione “Arnioni in Piazza” realizzata con la collaborazione degli Alabastrai locali, ora diventata opera permanente della Città e alla messa in produzione di un oggetto “Ilumina”, un portalume, che è diventato un simbolo di speranza.
Il progetto si è sviluppato nel corso dell’anno 2000, durante il periodo più pesante  della pandemia, in occasione e a supporto del percorso di candidatura della Città  come finalista a Capitale Italiana della Cultura 2022.
Il progetto è stato selezionato da ADI Design Index 2021 ed è ora candidato per il Compasso d’Oro.  L’incarico ora continua nell’ambito della città nominata Prima Capitale della Cultura della Toscana 2022, con una serie di attività che interesseranno il coinvolgimento di altri designer e la rifunzionalizzazione del Museo dell’Alabastro
Committente il Comune di Volterra. 

 

Piano interrato-foto Vallauri
Piano interrato-foto Vallauri
Palazzo Gromo Losa
Palazzo Gromo Losa
Credits Photo: Guido Mencari, Volterra, Luisa Bocchietto, Arnioni in piazza.
Credits Photo: Guido Mencari, Volterra, Luisa Bocchietto, Arnioni in piazza.
Progetto Ilumina
Progetto Ilumina
Credits Photo: Guido Mencari, Volterra, Luisa Bocchietto, Arnioni in piazza.
Credits Photo: Guido Mencari, Volterra, Luisa Bocchietto, Arnioni in piazza.